QUANDO IL NOSTRO ANZIANO SEMBRA NON RICONOSCERCI PIÙ O NON RICORDA IL NOSTRO NOME
Oggi vi raccontiamo una storia, come sempre una storia vera, che vede come protagonisti Giuliana (nome di fantasia) , un’ospite del centro, Francesca (nome di fantasia) , responsabile del corso di disegno e me, Patrizia.
ESSERE ACCOLTI CON UN SORRISO O UN ABBRACCIO
Un pomeriggio passo davanti alla sala in cui si tiene il corso di disegno, sono rimaste solo Giuliana e Francesca.
Entro nella sala e Giuliana mi guarda, regalandomi un sorriso meraviglioso che accompagna il suo «ah sei tu!» e allarga le braccia, io non mi faccio pregare e l’abbraccio che segue è carico di affetto e gioia.
Francesca ci guarda stupita dell’accoglienza e mi chiede chi sia io di così speciale per avere un’accoglienza del genere da parte di Giuliana, poi aggiunge di non averla mai vista così felice.
Le spiego che Giuliana è stata una delle partecipanti all’incontro settimanale del Gruppo Validation (QUI ne parliamo meglio) ma che per motivi di salute è stata presente solo poche volte.
In realtà credo che anche quei pochi incontri abbiano contribuito a costruire il rapporto forte che esiste fra lei e me, ma qualcos’altro ha contribuito forse ancora di più.
LA NASCITA DEL NOSTRO RAPPORTO
In quei giorni in cui lei era triste perché voleva andare a casa, piuttosto che arrabbiata perché voleva camminare ma non poteva o ancora angosciata dalla solitudine e dalla morte della figlia, io, quando ero in turno, mi fermavo con lei.
Questo con il tempo, “mattone per mattone”, ha costruito un rapporto nel quale, lei sentendosi accolta, mi ha concesso la sua fiducia.
Ed è questa fiducia che si rivela attraverso il saluto che mi ha riservato, non perché sappia come mi chiamo o che faccio l’infermiera, ma semplicemente perché mi “riconosce” come una persona che la accoglie, la ascolta e si interessa veramente a lei.
COME COSTRUIRE UN RAPPORTO DI FIDUCIA?
Mentre questa fiducia noi operatori dobbiamo guadagnarcela, costruendo il rapporto giorno per giorno durante la “convivenza”, il familiare spesso può contare su un rapporto affettivo e di fiducia esistente già prima del disorientamento, che semplifica nella quotidianità la gestione dei momenti di confusione o i disturbi del comportamento.
Ma nel percorso del disorientamento arriva purtroppo il momento drammatico in cui il nostro anziano non riconosce più nemmeno il figlio, oppure lo confonde e lo chiama con il nome di qualcun altro.
Questo è uno dei momenti più difficili per un figlio.
Già aver “perso” il genitore che conosceva da sempre ed essersi trovato ad accettare un genitore sconosciuto e completamente diverso, che da forte diventa fragile o che da persona allegra il disorientamento trasforma in arrabbiato o triste, è impegnativo, ma perdere anche l’ identità e il ruolo di figlio è devastante.
Ma in fondo è così importante come ci chiamano?
Con un’amica, che la mamma aveva iniziato a chiamare con il nome della sorella morta da tempo, abbiamo fatto una riflessione:
«quale era il rapporto che la signora aveva con la sorella?»
È emerso che per tutta la vita questa sorella maggiore era stata il riferimento affettivo e concreto nei momenti importanti e che il legame fra di loro era fortissimo.
Allo stesso tempo, dall’inizio delle perdite e del disorientamento questa figlia era diventata il riferimento costante per la mamma che, chiamandola con il nome della sorella le aveva confermato l’esistenza fra loro di un rapporto significativo ed indispensabile.
Partendo da questa riflessione la mia amica è riuscita ad accettare che il riconoscimento emotivo che la mamma le dimostrava le confermava la qualità della relazione esistente fra di loro, portandola alla conclusione che, con quel nome che non era suo, in realtà la mamma le stava dicendo quanto fosse importante per lei.
E nonostante la tristezza inevitabile, riuscire a leggere in un nome diverso, in un «ah sei tu!» o in un sorriso di un’anziano che non parla più, la bellezza e la solidità di una relazione e di un affetto che trascende la cognitività, porta al familiare come all’operatore, gratificazione e consolazione che alleggeriscono e sostengono le fatiche quotidiane che l’impegno di un anziano disorientato porta inevitabilmente con sé.
L’ARGOMENTO DEL PROSSIMO APPUNTAMENTO
Con l’augurio che questo articolo vi possa essere stato utile vi diamo appuntamento con il Metodo Validation con “Le vostre storie: Razionalità o contrasto, dove ci portano?“
Vi ricordiamo che se volete confrontarvi sui temi legati al disorientamento e Alzheimer è nato il Gruppo Chiuso Storie di Alzheimer, qui il link per iscrivervi al gruppo:
https://www.facebook.com/groups/storiedialzheimer/
E come sempre vi invitiamo a condividere in forma privata le vostre storie: « c’è un episodio in cui avete visto “la paura” nel vostro caro?»
Raccontateci le vostre esperienze, perché i vostri racconti
possono essere d’aiuto agli altri!
Scriveteci in forma privata a info@storiedialzheimer.it o anche attraverso un messaggio privato all’interno della Pagina Facebook Storie di Alzheimer.
Ben trovato a chi ha deciso di conoscere il metodo Validation attraverso Storie di Alzheimer.
Il tema all’interno di Storie di Alzheimer non ha l’obbiettivo di formare,
esistono infatti incontri e corsi strutturati a questo scopo, ma bensì di “dialogare”.
L’obbiettivo è portare a conoscenza delle famiglie il metodo che ha cambiato negli ultimi 15 anni la mia vita, sia dal punto di vista lavorativo che personale.