PERCHÉ DOVREMMO ACCETTARE
IL COMPORTAMENTO DI UNA PERSONA DISORIENTATA?
Per introdurre questo argomento vi proponiamo una riflessione tratta da un verso di una preghiera di San Francesco:
“Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso,
e la saggezza per conoscerne la differenza…”
IL PRINCIPIO NR. 2
Il principio nr. 2 (vedi gli 11 Principi), elaborato da Naomi Feil “Le persone anziane disorientate o mal orientate dovrebbero essere accettate per quello che sono: non dovremmo cercare di cambiarle” parte da due illustri teorici quali Rogers e Freud.
Freud dice che il “terapista” non può intervenire o modificare il comportamento di un paziente se questi non è pronto a cambiare o non ha le capacità cognitive per farlo.
Carl Rogers, psicologo statunitense, è partito dal principio che è il bisogno di autorealizzazione, che porta la persona a migliorarsi (cambiare per raggiungere l’ideale di sè).
Da qui ha sviluppato la tecnica terapeutica non direttiva o “centrata sul cliente” che funziona a condizione che la persona voglia e possa cambiare.
Collegandoci a questi due pensieri capiamo che i nostri anziani, con il disorientamento, perdono la capacità di razionalizzare, di controllare le loro emozioni e di cambiare i loro comportamenti.
Ma noi no!
Noi possiamo, dal nostro canto, comprendere che una persona non può cambiare se non vuole farlo e il nostro anziano, può non voler cambiare, semplicemente perché pensa di non averne bisogno.
Quello che fa e dice, per lui ha un senso, è importante e, in quanto tale, dovremmo averne il massimo rispetto anche quando non ci è chiaro il significato.
Comprendendo questo, possiamo decidere di non voler cambiare i nostri anziani accettando che loro siano diversi da come sono sempre stati, con le loro stranezze e le loro richieste a volte difficili da accontentare, semplicemente perché di questo hanno bisogno.
COME CI DOBBIAMO COMPORTARE?
Non possiamo chiedere loro di essere quelli che non possono più essere, dobbiamo provare a lasciarli liberi di esprimersi come possono adesso, comunicando quello che riescono e nel modo in cui loro è possibile.
Questo significa intraprendere un percorso personale (da figlio, da parente, da coniuge ) difficilissimo, ma funzionale al benessere di entrambi.
Vuol dire distaccarsi da quella persona a noi cara che conoscevamo così bene per avvicinarci a quella che abbiamo davanti, con i suoi bisogni, che spesso sono molto diversi dai nostri.
Questo significa che se la mamma ci chiede di essere accompagnata in bagno cinque volte nell’arco di 10 minuti, invece che ripeterle (usando la logica) che l’abbiamo portata un minuto fa, con l’aspettativa che possa cambiare comportamento e non ce lo chieda più, dovremmo guardare la situazione da un’altro punto di vista, e magari soffermarci a pensare, “chissà quanta paura ha di bagnarsi dietro a questa richiesta continua”!
COSA CI CONSIGLIA IL METODO VALIDATION?
Validation ci dice che, invece di sgridarla e crearci false aspettative, dovremmo chiederle se ha paura di farsela addosso o se si vergogna di bagnarsi. O ancora, magari parlare con lei del disagio di sentirsi bagnati, di avere addosso l’odore della pipì o di perdere il controllo della minzione.
Da Carl Rogers arrivano anche alcune strategie che secondo lui favoriscono il cambiamento nella persona sana, ovvero quello che potremmo fare noi familiari:
- sostenere la persona nella ricerca della sua soluzione.
- usare empatia (strettamente connessa alla sospensione del giudizio e ad ogni forma di interpretazione) per vedere il problema come lui (lei) lo vede e usare la capacità di sentire il mondo dell’altro, per accettarlo come unico e irripetibile.
- usare calore umano e profonda accettazione dell’individuo.
- accogliere l’altro per quello che è, per la sua unicità ed individualità.
Si parla quindi di accettazione incondizionata, quel calore da cui il paziente (la persona disorientata) deve sentirsi avvolta durante la relazione empatica e che presuppone l’accettazione dei vissuti e delle esperienze.
Questo non significa condividere o approvare incondizionatamente le idee e i sentimenti dell’altro, ma riconoscergli la libertà di provarli.
Si tratta di accettare la realtà dell’altro e valorizzarlo per ciò che è, e si traduce in una forma di rispetto profondo dell’altro da sé. - mettere davanti a tutto l’autenticità, la lealtà e l’integrità verso il paziente (la persona disorientata)
- usare l’ascolto attivo, un atto volontario che oltrepassa le parole, nel quale si mette il cuore, la mente e il corpo per comprendere, non solo ciò che l’altro dice, ma anche ciò che vorrebbe dire e ciò che è.
LE DOMANDE CHE POSSONO NASCERE E LA RISPOSTA
- Se il nostro anziano non è in grado di voler cambiare, cosa possiamo fare noi per lui?
- Anche se manca la volontà di cambiare, possiamo migliorare la relazione?
- Come possiamo fare per non entrare continuamente in conflitto con lui, e in frustrazione, per il suo mancato cambiamento?
L’esperienza con Validation ha dimostrato nel tempo che, quelle stesse strategie che secondo Rogers possono indurre in una persona sana un cambiamento (empatia, calore umano, profonda accettazione dell’individuo, autenticità e ascolto attivo) usate con l’anziano disorientato, favoriscono la creazione di una relazione di fiducia che porta benessere, sia per l’anziano stesso che per il caregiver.
A volte, semplicemente diminuendo gli attriti e aumentando la comprensione e l’accoglienza, anche nell’anziano disorientato è possibile che si verifichi un cambiamento positivo inaspettato.
L’ARGOMENTO DEL PROSSIMO APPUNTAMENTO
Oggi vi lasciamo con queste riflessioni legate ai nostri comportamenti e vi diamo appuntamento con un nuovo articolo dedicato ad un principio, così da avere una visione più completa di questo argomento con il Principio nr. 11: quando il passato si fa vivo nel presente
E vi ricordiamo, che se avete un comportamento di un vostro caro, che ripete costantemente, a cui non sapete dare una spiegazione? Scriveteci!
Inviaci una mail a info@storiedialzheimer.it , l’autore e il tuo caro rimarranno anonimi, parleremo solo del bisogno cercando di dare insieme una spiegazione.
Un’occasione per comprendere, e anche per aiutare, attraverso un’esempio, un familiare o un caregiver che si trova nella tua stessa situazione.
Ben trovato a chi ha deciso di conoscere il metodo Validation attraverso Storie di Alzheimer.
Il tema all’interno di Storie di Alzheimer non ha l’obbiettivo di formare,
esistono infatti incontri e corsi strutturati a questo scopo, ma bensì di “dialogare”.
L’obbiettivo è portare a conoscenza delle famiglie il metodo che ha cambiato negli ultimi 15 anni la mia vita, sia dal punto di vista lavorativo che personale.