L’ANZIANO FRAGILE
Credo proprio che nessuno come l’anziano disorientato meriti l’appellativo di “fragile”, non solo in senso fisico, anche se il termine può farlo pensare.
Spesso si tratta di una fragilità che coinvolge soprattutto la parte psichica, le perdite cognitive infatti portano altre perdite e le capacità di autonomia nel quotidiano diminuiscono creando una dipendenza dai caregiver, che pian piano aumenta fino a diventare totale.
Questo ci porta facilmente a percepire, e a sovrapporre, questa fragilità a quella che caratterizza anche un’altra fase della vita, l’infanzia. Una percezione che provoca in noi, che ci prendiamo cura di loro, quel senso di tenerezza e protezione che l’essere umano prova in modo naturale nei confronti dei più deboli.
Si tratta di un meccanismo di per sé positivo, se viene affiancato da rispetto e consapevolezza delle differenze fra le due fragilità, ma se tralasciamo questi due aspetti, rischia di trascendere e svilire la dignità del nostro anziano.
È evidente che l’uso di termini quali “manine”, “piedini”, “pappa” e “nanna”, se riferiti o usati nei confronti di un bambino, sono inequivocabilmente l’espressione della tenerezza e della nostra parte “materna / paterna” che viene toccata da questi esseri piccoli, fragili ed indifesi. Ma gli stessi termini, se vengono usati nell’accudire un anziano, risultano stonati perché un anziano, anche se fragile e bisognoso, non è un bambino.
Di certo con gli anni, e con le perdite, si può verificare una regressione importante e l’anziano che fisicamente diventa più piccolo, più curvo e magro o semplicemente disarmato di fronte alle semplici azioni quotidiane a causa del disorientamento, può facilmente suscitare in noi una tenerezza e un senso di protezione. D’altro canto è però importante non dimenticare il suo essere uomo, o donna, che ci chiede di essere trattato come tale. Trattare l’anziano da adulto non significa mettere da parte l’aspetto affettivo / affettuoso della relazione, ma semplicemente garantirgli il rispetto che merita per il suo vissuto.
IL RISPETTO
Uno dei punti che fanno parte dell’atteggiamento convalidante è proprio il rispetto che noi caregiver, sia operatori che familiari, garantiamo attraverso diverse modalità di approccio (vedi articolo su Che cos’è l’atteggiamento convalidante? – Rispetto e Autenticità ). Modi di approcciarsi che in realtà partono tutti dalla necessità di trattare l’anziano da adulto ad adulto, per dargli il valore che gli spetta ed evitare il rischio tipico delle relazioni di aiuto, ovvero di collocare noi stessi in posizione di potere e l’anziano in quella di “dipendente o sottomesso”.
Adulto significa anche persona in grado di prendere decisioni, in fondo il nostro anziano l’ha fatto per tutta la vita e ad un certo punto improvvisamente siamo noi a decidere per loro, non possono nemmeno più scegliere che cosa mettersi addosso, cosa mangiare, spesso nemmeno cosa fare.
Soprattutto se sono diventati un po’ “maldestri” interveniamo prima che “combinino qualche pasticcio” dicendo loro quando e cosa devono fare, ma anche se mossi da buon fine tendiamo ad intervenire e comportarci da insegnanti o da genitori, trattandoli spesso da bambini piuttosto che da adulti in difficoltà.
COME POSSIAMO AIUTARLI SE SONO IN DIFFICOLTÀ?
Nonostante tutte le buone intenzioni, capita che ci irritiamo di fronte alle loro difficoltà o tentennamenti e, per mancanza di tempo o qualche volta di pazienza (in fin dei conti anche i caregiver sono umani!), li sgridiamo, li critichiamo per quello stanno facendo, arrivando spesso a sostituirci a loro.
Dovremmo provare per un attimo a metterci nei loro panni ed a pensare a come ci sentiremmo se trovandoci in difficoltà nel fare una cosa ci arrivasse la “maestrina ” che con atteggiamento “genitoriale” ci spiegasse come va fatta o, ancora meglio, la facesse lei.
Questo atteggiamento non potrà che farci sentire incapaci e soprattutto di poco valore, di conseguenza il minimo che faremmo sarebbe arrabbiarci e ribellarci.
E perché non dovremmo aspettarci la stessa cosa quando siamo noi a trattare l’anziano da bambino anziché da adulto?
QUALI SONO GLI ATTEGGIAMENTI GENITORIALI?
Ci sono dei momenti in cui, senza nemmeno accorgercene, non li trattiamo da adulti:
- quando, pur con grande affetto, ci rivolgiamo all’anziano dicendo: dammi le manine, allunga i piedini, vieni che ti porto a letto.Un adulto ha le mani ed i piedi e piuttosto verrà accompagnato o aiutato ad andare a letto.
- Quando sono in difficoltà a mangiare, o hanno bisogno di essere imboccati e gli mettiamo bavaglini a volte ridicoli, li sgridiamo se si sporcano mentre mangiano, li apostrofiamo con un “ma guarda cos’hai combinato!”.Un adulto non ha bisogno di qualcuno che lo sgridi o gli insegni a stare a tavola, al massimo di qualcuno che lo aiuti amorevolmente quando non riesce a coordinare le azioni che la mente ha dimenticato.
- Quando parliamo di loro come se non fossero presenti (come ad esempio quando gli operatori ai colloqui di ingresso pongono le domande ai familiari anziché all’anziano) e diamo per scontato che non siano in grado di rispondere.In questo modo gli stiamo dicendo “non esisti” cosa che non faremmo mai con un’altro adulto. Coinvolgerli in quello che li riguarda è il modo più semplice per farli sentire adulti.
- Quando li portiamo in giro senza preoccuparci di dire che cosa stiamo andando a fare. Questo accade sia in famiglia, per esempio nell’andare a fare una visita, che in struttura, quando vengono accompagnati a prendere parte a qualche attività.In questo modo li trattiamo come se fossero bambini da guidare, o da far divertire, anziché da adulti che possono decidere, scegliere o anche semplicemente essere messi al corrente di un impegno che li riguarda.
- Quando decidiamo noi che è ora di alzarsi o di lavarsi, piuttosto che di dormire, senza chiedere loro se sono d’accordo e dando per scontato che debbano affidarsi senza discutere solo perché siamo diventati “responsabili del loro benessere”.
Questi sono solo alcuni esempi di situazioni più frequenti.
Riconoscerle ci consente di avere consapevolezza dell’effetto di quello che facciamo, facendoci riflettere, guidare e fermare in tempo la prossima volta che quella situazione, o una simile, si ripresenterà. Un momento che sarà una grande conquista per noi, ed una iniezione gigante di autostima per loro.
Ultima riflessione, ma non per importanza, il motivo fondamentale per cui dobbiamo trattarli da adulti è di cercare di garantire loro la dignità (vedi Principi nr. 1 nr. 3 degli 11 Principi Validation) e il loro valore fino all’ultimo giorno perché, probabilmente, è così che vorremmo essere trattati anche noi se fossimo al loro posto.
L’ARGOMENTO DEL PROSSIMO APPUNTAMENTO
Ci salutiamo dandoci appuntamento il prossimo approfondimento in cui parleremo di “I sensi di colpa dei familiari“, attraverso il Metodo Validation e vi ricordiamo quanto sia importante condividere!
Raccontate all’interno di Storie di Alzheimer le vostre esperienze, ponete delle domande se vorreste ricevere un punto di vista, raccontate le vostre “strategie”, quelle che avete trovato per risolvere una situazione. Sono tutte possibilità che renderanno la vostra parola, in forma anonima, un’aiuto per chi si trova nella vostra stessa situazione.
Per farlo basta scriverci una mail a info@storiedialzheimer.it o se preferite un messaggio privato alla Pagina Facebook Storie di Alzheimer.
Ben trovato a chi ha deciso di conoscere il metodo Validation attraverso Storie di Alzheimer.
Il tema all’interno di Storie di Alzheimer non ha l’obbiettivo di formare,
esistono infatti incontri e corsi strutturati a questo scopo, ma bensì di “dialogare”.
L’obbiettivo è portare a conoscenza delle famiglie il metodo che ha cambiato negli ultimi 15 anni la mia vita, sia dal punto di vista lavorativo che personale.