Un rapporto con l’Alzheimer a distanza
Quando la vita ti porta a vivere lontano da un genitore con l’Alzheimer
Inizia a scrivere questo articolo mentre ero in volo, quale miglior momento per raccontavi un rapporto con l’Alzheimer a distanza.
La vita e il lavoro ti portano a dover fare delle scelte, mia mamma quando ancora la malattia non l’aveva colpita mi ha sempre appoggiato nelle mie scelte, volendo solo quello che “per me” poteva essere il meglio e che poteva rendermi felice.
E così nel 2015 anni la vita mi portò per motivi di lavoro a trasferirmi in un altro paese.
La separazione e i progetti per me e lei
Premetto che quando partii la mamma era già in uno stadio medio avanzato della malattia e aveva già fatto il suo ingresso in CRA.
Separarmi da lei fu duro, il non poterla vedere tutti i giorni fu difficile, addirittura i primi tempi pensavo che appena mi fossi sistemata l’avrei portarla con me.
Ancora forse non avevo capito fino in fondo che cos’era l’Alzheimer.
Quando presi piena conoscenza dell’Alzheimer e dei suoi limiti
Probabilmente ne presi pienamente coscienza dopo qualche mese dal mio trasferimento, vidi forse con maggiore chiarezza che cosa stavo e stava vivendo, che cosa questo mostro le stava facendo e come limitava il nostro rapporto.
Ricordo che quando decisi di partire, parlai con la Responsabile del nucleo dove si trova mia madre, dicendole che stavo per trasferirmi e che appena mi sarei sistemata avrei portato la mamma con me.
Se corro indietro ricordo ancora lo stupore, la notizia che l’avrei portata via, ma poi tutto cambiò.
Arrivò il giorno dei saluti, l’avrei rivista 2 mesi e mezzo dopo, quello fu il periodo di separazione più lungo.
La ricerca delle giusta struttura
Inizialmente ci provai, mi misi in contatto con il Centro Alzheimer della zona, mi indicarono alcune strutture e nel mentre mi informai sul personale, cercando chi parlasse italiano o almeno una parte.
Valutai anche l’opzione di affiancarle qualcuno extra, che parlasse la nostra lingua.
Nel mentre facevo la spola con l’Italia, si perché per me era importante che lei mi sentisse vicina e per me era importante stare a suo fianco.
Dopo il primo stacco di 2 mesi, ogni mese circa salivo su un’aereo e volavo da lei, trascorrendo con lei una settimana.
E fu proprio durante i primi mesi di andirivieni che mi furono chiari alcuni aspetti, portarla via sarebbe stato ingiusto e forse dannoso.
Anche se avessi trovato una soluzione alla lingua straniera capii che rimaneva comunque il problema di una cultura diversa e quindi di una stimolazione che su di lei, di certo, non avrebbe avuto nessun effetto.
Immaginai mia mamma durante i pasti, il cibo sarebbe stato differente, i sapori del luogo erano diversi, non avrebbe più mangiato i piatti della sua tradizione, come la piadina o i passatelli in brodo.
Durante il momento del canto o in occasione di una festa, non avrebbe più ascoltato Romagna mia e tanto meno delle canzoni italiane.
Se avesse voluto parlare con altre ospiti del centro sarebbe stato impossibile.
Quindi io si, sarei stata felice, avrei avuto la mia mamma con me, l’avrei potuta vedere sempre, ma poi lei?
Quanto sarebbe stata veloce la sua regressione?
Quanto sarebbero state tristi le sue giornate quando io non fossi stata con lei?
Realmente l’Alzheimer fu con lei molto aggressivo e il peggioramento abbastanza rapido, ma forse se l’avessi portata con me sarebbe stato peggio?
Io nel dubbio scelsi di fare un passo indietro, di rivedere la mia scelta e un po’ anche la mia vita, viaggiare con questa frequenza non facilitò la quotidianità per i 7 anni a seguire ma d’altro canto non avrei potuto fare a meno di stare con lei.
Le emozioni di vivere lontani
Migliaia di chilometri non cambiano gli stati d’animo, non si soffre di più o di meno, solo diversamente.
La lontananza rese le cose difficili, durante il giorno pensavo se il quel momento stesse mangiando o se chissà, in quel giorno, avesse pronunciato una parola.
D’altra parte, quando andavo in Italia, c’era la gioia di rivederla ma ogni volta era anche un pugno allo stomaco, perché raramente in quei 7 anni al mio ritorno non la trovai in uno stato peggiorativo.
Questa sorta di lucidità che mi diede la lontananza mi fece apparire le cose ancora più “amare”.
E poi ad ogni partenza era come la prima volta, la prima volta che dovetti dirle “ci vediamo presto, torno tra…, fra qualche settimana sono… ” fu sempre così tremendamente difficile e doloroso.
Insomma, come figlia nulla mai cambiò.
Come visse mia mamma il cambiamento
Penso di esserle un po’ mancata almeno i primi tempi, quando tornavo era sempre così felice, ricordo i suoi occhi e il suo sorriso. Poi, dopo i primi 2 anni, sinceramente non lo so, di certo quando stavo con lei c’era ancora quella connessione, la mamma mi guardava con quegli occhi, anche se al tempo sgranati, ma mi sembra mi dicessero qualcosa.
Lì dentro fino all’ultimo giorno c’è stata sempre la mia mamma e sempre avrò la speranza che se fosse stata in salute avrebbe appoggiato la mia scelta, sia per me che per lei.
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