Le vostre Storie: la mamma, casa e l’album di foto
Oggi Storie in Valigia ospita, per la prima volta, un vostro racconto. Il racconto di una lettrice che ci ha inviato un momento della Sua Storia che proveremo a “leggere” attraverso il metodo Validation.
Sabato 29 luglio – Quel giorno tutto cominciò con la convinzione di mia mamma (57 anni) di non essere a casa.
Era talmente convinta, da portare con se varie foto, tra cui quella di un amico di famiglia morto di recente e un piccolo album fotografico, contenete le foto di famiglia e che le regalammo io e mia sorella, avrà 10 anni…
Subito io le dissi che quella in cui viveva era casa sua, ma peggiorai solo la situazione…mia mamma continuava ad insistere sul fatto che non fosse a casa sua.
Così ho provato a cambiare tecnica di approccio, la assecondai e le dissi di mettere giù le foto e che le avrebbe prese solo quando saremo andati a casa sua…da li in poi funzionò. Anche mio papà le diceva lo stesso.
Io o mio papà andavamo al lavoro, la mamma restava a casa, l’idea di non essere a casa sua era un po’ diminuita nella settimana successiva, ma cominciarono le crisi di pianto accompagnate dalle richieste “che voleva vedermi”, “che era preoccupata che stessi male” , “che voleva vedere mio papà”.
Insomma, una settimana di crisi di pianto…anche contro la badante, io e mio padre dovevamo andare a casa a calmarla anche 4/5 volte al giorno…chissà cosa aveva in mente…per fortuna sta passando un po’…va meglio, speriamo sia stato solo il caldo…
Mia sorella non ha modo di parlare con mia mamma quando ha queste crisi di pianto e pensieri e ho sentito che, dopo che mia madre ha sentito che io stavo bene e aver saputo dov’ero, le dice: “sei contenta adesso?” “Adesso che hai sentito che sta bene, va bene?” Io credo che non sia il modo di parlare ad una persona con questo tipo di problema.
Premessa
Ringraziamo di cuore chi, scrivendoci la sua esperienza e consentendoci di metterla a disposizione di tutti, ci permette di utilizzarla per fare alcune riflessioni e riprendere in concreto alcuni aspetti già toccati in altri articoli: “simboli, ragionamento, bugia terapeutica ed empatia”
Nel provare a chiarire i dubbi della nostra lettrice, daremo anche una piccola anticipazione anche del prossimo argomento Validation che riguarderà la “comunicazione non verbale”
E’ importante che sia chiaro che stiamo solo facendo delle riflessioni su una situazione che conosciamo molto poco e che non ci permetteremmo mai di giudicare.
Ci troviamo davanti ad un familiare che improvvisamente si trova ad affrontare una situazione inaspettata e di cui probabilmente ha informazioni frammentate incontrate casualmente qua e là.
Spesso quando accadono queste situazioni il familiare non ha idea di che cosa stia succedendo, non ha preparazione che lo possa aiutare a capire che cosa accada al suo caro e reagisce come reagiremmo anche noi nella stessa situazione, seguendo l’istinto.
Detto questo proviamo a riflettere ed analizzare quello che è successo, alla luce di quello che Validation ci insegna.
La lettura secondo Validation
I simboli
La situazione che ci viene raccontata è quella di una mamma che dichiara di non essere a casa sua, che prendendo un’album e una foto, si prepara per andarsene.
Se non la signora stessa, nessuno può davvero sapere quale fosse il significato simbolico che la signora attribuisce all’album, ma il fatto che volesse andare via da “questa casa che non è sua”, pontando con con sé quell’album e quella foto, hanno sicuramente un valore emotivo importante.
Se la signora è ancora nella fase iniziale del disorientamento e abbastanza agganciata alla realtà, si potrebbe provare a chiederglielo: <<che cosa c’è di tanto importante in questo album?>>, <<cosa ti fa venire in mente o ti ricorda?>>.
Ma possiamo anche provare ad ipotizzare e a dare, alla casa, all’album e alla foto, un significato simbolico (vedi Metodo Validation: i simboli):
GLI AFFETTI: è un regalo fatto dalle figlie alla signora per un compleanno di 10 anni prima e può rappresentare sia il legame con loro, che con le persone che vi sono ritratte.
IL PASSATO: l’album contiene foto della famiglia (lei, il marito, le figlie) e la foto singola è di un amico di famiglia morto da poco. Potrebbe voler portare con sé il suo passato.
LA SALUTE/ IL RUOLO: un regalo fatto 10 anni prima, può rappresentare quando stava bene, quando lavorava.
LA GIOIA: il momento gioioso racchiuso dalla situazione in cui è stato regalato l’album. Potrebbe voler portare con sé la gioa.
CASA SUA: il luogo degli affetti.
LE FOTO: le immagini degli affetti.
Risposta messa in atto
La signora ci scrive di aver provato istintivamente (lo avremmo fatto anche noi) a “riportare alla realtà e far ragionare” la mamma, dicendole che la casa in cui viveva era casa sua.
Si rende però subito conto che non ci riesce, anzi, la situazione peggiora, confermandoci così quello che Validation sostiene:
vedi Come gestire il familiare disorientato che vuole andare a casa
Il ragionamento e la bugia terapeutica
La mamma reagisce insistendo a lungo sul voler andare a casa sua e sicuramente si irrita. La figlia quindi cambia metodo :
La bugia terapeutica “dopo andiamo a casa tua”, lì per lì funziona e tranquillizza la mamma, le sue richieste effettivamente diminuiscono. Per una settimana marito e figlia, faticosamente, gestiscono in questo modo la situazione.
Dire una bugia terapeutica ci porta a riflettere su come possa sentirsi un familiare consapevole che sta “”imbrogliando”, raccontando bugie e promettendo cose che non potrà realizzare.
La bugia può farlo sentire bene?
Non va dimenticato che, sentire che stai facendo la cosa giusta per il tuo caro, alleggerisce la fatica e aiuta a tenere lontano lo stress a cui i caregiver inevitabilmente sono sottoposti.
L’empatia
La mamma lungo il racconto cambia la manifestazione, compaiono le crisi di pianto accompagnate dalla preoccupazione continua che figlia o marito non stiano bene, ha bisogno di vederli per essere rassicurata, tanto che entrambe devono tornare 4/5 volte al giorno a casa per convincerla che va tutto bene e col tempo… “va meglio”.
Le persone disorientate esprimono a volte le loro emozioni in modo molto forte e le crisi di pianto ci fanno capire l’importanza e la profondità del malessere che la signora esprime in quel momento.
Anche in questo caso possiamo solo provare ad ipotizzare che cosa sia successo, ma Validation ci insegna che, di fronte ad un bisogno non soddisfatto (vedi principio nr. 6), la persona disorientata continua a cercare di soddisfarlo.
A volte, per riuscirci, sposta la richiesta su un altro aspetto della vita che risponde allo stesso bisogno che sta alla base della richiesta iniziale.
Come abbiamo già visto nell’articolo “Come gestire il familiare disorientato che vuole andare a casa”, la casa può rappresentare la sicurezza, gli affetti, il ruolo che si rivestiva in quel luogo.
Questo può portarci ad ipotizzare che la signora, non trovando risposta alla sua richiesta di “ stare a casa sua”, inteso come luogo degli affetti potrebbe, aver spostato l’attenzione e chiesto, con grande sofferenza, di avere la presenza degli affetti.
Alla richiesta della presenza espressa attraverso il pianto, i familiari rispondono accogliendo le sue emozioni e andando a casa a confortarla e rassicurarla, che tutto va bene. In questo modo, trovando risposta al suo bisogno le manifestazioni possono diminuire fino anche a sparire e la signora non avrà bisogno di trovare un ulteriore modo per esprimerle.
La comunicazione non verbale
Di fronte, invece, alla considerazione fatta dalla signora che ci scrive, su quanto detto dalla sorella alla madre, “non mi sembra il modo di parlare ad una persona con certi problemi” sorge spontanea una domanda:
Più che le parole dette, come quelle della sorella della signora che ci scrive, sappiamo che è davvero il modo con cui ci rivolgiamo che fa la differenza.
Utilizzando le stesse parole ma con toni di voce diversi, ne possiamo cambiare completamente il significato, dobbiamo inoltre essere consapevoli che le nostre stesse emozioni passano attraverso il tono, il ritmo e l’espressione del viso che assumiamo quando le pronunciamo.
Se le frasi: “sei contenta adesso? Adesso che hai sentito che sta bene, va bene?” Sono state pronunciate con tono basso e caldo, magari accompagnate con una carezza o un tocco affettuoso avranno sicuramente aiutato a tranquillizzare e far stare bene la mamma.
Se invece le stesse parole sono state accompagnate da un tono di voce stridulo, freddo, di fastidio o magari di rimprovero, potrebbero aver contribuito ad accentuarne l’ansia e le paure.
Abbiamo detto che le emozioni che proviamo condizionano il tono usato, soprattutto se non siamo allenati ad un atteggiamento empatico, senza poi sottovalutare gli aspetti legati a stanchezza, tensione, stress accumulato e risentimento, che deriva dal grande impegno che richiede l’assistenza ad un familiare disorientato.
In questo Validation ci può essere di grande supporto (vedi gli articoli sull’Atteggiamento Convalidante e l’esercizio di Centering), insieme a tutti quelli accorgimenti e tecniche; passeggiata, cura di sé, Meditazione, Yoga, Mindfulness e così via; che ogni caregiver può mettere in atto per aiutarsi in questo difficile percorso.
Ringraziamo ancora M. per la sua testimonianza e se desideri anche tu condividere una tua storia e leggerla insieme attraverso il Metodo Validation scrivici a: info@storieinvaligia.it o compila il form sottostante!
Noi vi aspettiamo il 30 settembre con un nuovo appuntamento Validation dedicato all’Atteggiamento Convalidante: Ascolto Attivo e Comunicazione Non Verbale
Ben trovato a chi ha deciso di conoscere il metodo Validation attraverso Storie in Valigia.
Il tema all’interno di Storie in Valigia non ha l’obbiettivo di formare,
esistono infatti incontri e corsi strutturati a questo scopo, ma bensì di “dialogare”.
L’obbiettivo è portare a conoscenza delle famiglie il metodo che ha cambiato negli ultimi 15 anni la mia vita, sia dal punto di vista lavorativo che personale.
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